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Bitcoin e criptovalute, ecco come cambia la tassazione nel 2023

L’ultima legge di Bilancio ha finalmente messo un po’ di ordine anche tra la fiscalità delle criptovalute. Fino all’anno scorso, infatti, esisteva una sorta di vuoto normativo che rendeva poco chiara la tassazione sui proventi ottenuti da Bitcoin e altre criptomonete. Per la prima volta nel nostro ordinamento, quindi, si analizzano i principi per la regolarizzazione delle monete virtuali. Vediamo quali sono le principali novità.

Aliquota al 26% oltre i 2mila Euro

La manovra approvata il dicembre scorso, prevede una nuova categoria di “redditi diversi” da assoggettare a tassazione nella misura del 26%. L’aliquota è la stessa del capital gain, guadagno in conto capitale, applicata a tutte le rendite finanziarie. Bisogna specificare, però, che si pagherà il 26% sulle plusvalenze conseguite grazie alle cripto-attività solo sulla parte eccedente i 2mila euro nel periodo d’imposta. Viene anche previsto che il possesso di cripto-attività deve costituire oggetto di monitoraggio fiscale, anche nel caso non vengano generate plusvalenze.

Tassati anche gli NFT

Il comma 126 della legge di Bilancio 2023 stabilisce che “le plusvalenze e gli altri proventi realizzati mediante rimborso o cessione a titolo oneroso, permuta o detenzione di cripto-attività, comunque denominate sono tassate al 26%, al pari degli altri redditi da capitale e redditi diversi”. L’imposta, come già scritto, si applicherà solo per le plusvalenze superiori a 2mila euro. Criptovalute ma non solo. La nuova regolamentazione fiscale riguarda anche gli Nft, ossia i non fungible token. “Per cripto-attività si intende una rappresentazione digitale di valore o di diritti che possono essere trasferiti e memorizzati elettronicamente, utilizzando la tecnologia di registro distribuito o una tecnologia analoga”. Quindi rientrano nella casistica, oltre ai currency token anche le utility token e gli Nft.

Quando fiscalmente rilevanti

Cosa cambia quindi per le criptovalute? Le operazioni diventano fiscalmente rilevanti solo in caso di conversione della criptovaluta in una moneta “fiat”, ossia euro, dollaro, o altre valute a corso legale. Per semplificare, se si scambia una criptomoneta con un’altra cripto, l’operazione non è fiscalmente rilevante. Fino allo scorso anno le criptovalute esano soggette alla normativa fiscale relativa alle valute estete, e quindi le plusvalenze non concorrevano a formare reddito a meno che la giacenza sui conti non superasse i 51.645,69 euro, per almeno sette giorni lavorativi continui. Dal 2023, quindi, le criptovalute sono considerate come dei veri e propri asset finanziari e le plusvalenze realizzate sono tassate al 26%. Stessa aliquota per tutti gli strumenti finanziari, tranne che per i titoli di Stato che sono tassati al 12,5%.

Sostituto d’imposta e dichiarazione dei redditi

Chi decide di investire in un fondo sulle cripto, ha il vantaggio che l’intermediario, per esempio la banca, pagherà in qualità di sostituto di imposta, l’eventuale imposta sui guadagni. Diverso il caso di chi compra criptovalute sugli exchange, tramite le tante app disponibili. La compensazione, adesso, tra plusvalenze e minusvalenze dovrà essere fatta in autonomia, in regime dichiarato, con tutte le difficoltà del caso tra i vari quadri e riquadri dei modelli per la dichiarazione dei redditi.

Cosa succede con la donazione

Le tasse sulle plusvalenze generate dalle criptovalute dovranno essere pagare anche in caso di successione o donazione. Sempre nella legge di Bilancio si precisa che “nel caso di acquisto per successione, si assume come costo il valore definito o, in mancanza, quello dichiarato agli effetti dell’imposta di successione. Nel caso di acquisto per donazione, invece, si assume come costo” quello del donante, che dovrà essere “documentato con elementi certi e precisi a cura del contribuente; in mancanza, il costo sarà pari a zero”.

La sanatoria

Cosa succede a chi non ha indicato nella dichiarazione dei redditi le cripto-attività detenute entro il 31 dicembre 2021? Può regolarizzare la propria posizione versando per ogni anno una sanzione ridotta dello 0,50% del valore delle attività non dichiarate. Da gennaio 2023 scatta anche l’obbligo di versare un’imposta sostitutiva di bollo pare al 2 per mille del valore totale delle cripto-attività, che dovrà essere pagata da tutti i soggetti residenti in Italia.

Flat tax, come cambia il regime forfettario nel 2023

La legge di Bilancio 2023 ha introdotto alcune novità per le partite Iva in regime forfettario. La grande modifica riguarda la soglia limite dei ricavi e dei compensi che danno diritto a usufruire della flat tax, la tassazione agevolata che resta al 15%: si passa da 65mila euro a 85mila euro.

Cosa cambia nel 2023

L’aliquota resta al 15% (al 5% per le nuove attività e per i primi 5 anni). Se si superano i 100mila euro di ricavi o compensi, la fuoriuscita dal regime è però immediata, senza aspettare l’anno successivo. Una modifica, introdotta dal governo, per evitare che ci siano abusi e utilizzi scorretti del regime fiscale. In precedenza, chi superava la soglia dei 65mila euro, tornava nel regime ordinario, soggetto a Iva e Irpef, dall’anno successivo a quello dello sforamento, ma senza alcun limite di fatturato. Quindi, ipoteticamente, si poteva applicare l’aliquota del 15% anche a fatturati molto elevati. Con la nuova flat tax, chi supererà la soglia degli 85mila euro ma restando al di sotto dei 100mila, passerà al regime ordinario dall’anno successivo. Diversamente, in caso di sforamento della soglia dei 100mila euro, la fuoriuscita dal regime forfettario sarà immediata.

I requisiti per accedere al forfettario

La manovra non ha cambiato gli altri aspetti normativi per accedere al regime forfettario. Non possono aderire al regime forfettario i soggetti che hanno avuto nell’anno precedente a quello di riferimento, quindi a gennaio 2023 si considera il 2022, controllo diretto o indiretto di società a responsabilità limitata con attività economiche direttamente o indirettamente riconducibili a quelle svolte individualmente. Non possono più restare nel regime forfettario i titolari di reddito da lavoro dipendente (o pensione) superiore a 30mila euro e i titolari di partita Iva che sostengono spese per compensi ai collaboratori di importo superiore a 20mila euro. Esclusi dal regime anche per i soggetti che hanno accesso ad altri regimi di determinazione forfettaria del reddito. Niente forfettario anche in caso di attività prevalente svolta in favore di un datore di lavoro con cui sono in corso rapporti lavorativi o gli stessi hanno interessato i due anni precedenti, ovvero nei confronti di soggetti direttamente o indirettamente riconducibili ai suddetti datori di lavoro. Una condizione, questa, per evitare di abbandonare un contratto da dipendente per lavorare, in partita Iva e con una fiscalità più vantaggiosa, sempre per lo stesso committente.

Obbligo della fattura elettronica

Dal 1° luglio 2022 è scattato l’obbligo di fatturazione elettronica anche per le partite Iva in regime forfettario che l’anno precedente hanno percepito ricavi o compensi superiori a 25mila euro. Dal 1° gennaio 2024 sarà esteso a tutte le partite Iva in regime forfettario l’obbligo di emettere la fattura in formato elettronico. Per tutte le altre partite Iva l’obbligo di fatturazione elettronica è già in vigore.

Flat tax incrementale: come funziona

L’altra novità della legge di Bilancio è la flat tax incrementale, per le partite Iva non soggette al regime forfettario, ma solo per il 2023: al posto delle aliquote Iperf, verrà applicata un’imposta sostitutiva al 15%, su una base imponibile non superiore a 40mila euro, pari alla differenza tra il reddito determinato nel 2023 e il reddito di importo più elevato dichiarato negli anni 2020, 2021, 2022. Viene applicata una franchigia del 5%.

Come si calcola

Facciamo un esempio per chiarire. Un contribuente dichiara 135mila euro nel 2023 e nel precedente triennio, il reddito più alto dichiarato è stato di 105mila euro. La differenza è, quindi di 30mila euro. Il reddito più alto del triennio (105mila euro) viene ridotto del 5%, ossia di 5.250 euro. La base imponibile per la flat tax incrementale, quindi, diventa 24.750 euro (30mila meno 5.250 euro), su cui verrà applicata l’imposta sostitutiva al 15%, per un importo complessivo di 3.712,50 euro. Il risparmio fiscale, in questo caso, sfiora i 7mila euro.

Legge di Bilancio 2023, tutte le misure approvate

Taglio del cuneo fiscale, flat tax, pensioni e mutui. Il Senato ha approvato definitivamente la prima legge di Bilancio del governo Meloni per il 2023 che vale circa 35 miliardi di euro, di cui 21 peseranno sul deficit, per finanziare aiuti a imprese e famiglie contro il caro-energia. Le misure principali riguardano il taglio del cuneo fiscale e Quota 103 per le pensioni. Una parte delle coperture arrivano dal taglio dell’indicizzazione delle pensioni oltre 4 volte il minimo, circa 2.100 euro, che garantirà 2 miliardi di risparmi per i conti pubblici. Spazio anche alla stretta sul reddito di cittadinanza. Vediamo quali sono le principali misure approvate e cosa cambia a partire dall’inizio del 2023.

Caro-energia

La maggior parte delle risorse di questa Finanziaria, circa due terzi della manovra (21 miliardi) sono destinati a contrastare gli effetti del caro-energia per famiglie e imprese. Le misure, però, riguardano solo il primo trimestre del 2023. Sono stati prorogati i provvedimenti già approvati dal precedente governo Draghi. La soglia Isee per ricevere il bonus sociale sale da 12 a 15mila euro. Sale la tassa sugli extraprofitti delle aziende energetiche che sale al 50% sull’imponibile Ires e sull’incremento medio superiore al 10% sui 4 anni precedenti (2018-2021). Gli oneri di sistema sono stati nuovamente azzerati.

Flat tax

Tra le misure bandiera del nuovo esecutivo, la flat tax per le partite Iva in regime forfettario viene estesa dai 65mila euro di ricavi annui fino a 85mila euro. L’aliquota resta al 15% (al 5% per le nuove attività e per i primi 5 anni). Se si superano i 100mila euro di ricavi o compensi, la fuoriuscita dal regime è immediata, senza aspettare l’anno successivo. L’altra novità è la flat tax incrementale, per le partite Iva non soggette al regime forfettario, ma solo per il 2023: al posto delle aliquote Iperf, verrà applicata un’imposta sostitutiva al 15%, su una base imponibile non superiore a 40mila euro, pari alla differenza tra il reddito determinato nel 2023 e il reddito di importo più elevato dichiarato negli anni 2020, 2021, 2022. Viene applicata una franchigia del 5%. Facciamo un esempio per capire meglio. Un contribuente dichiara 135mila euro nel 2023 e nel precedente triennio, il reddito più alto dichiarato è stato di 105mila euro. La differenza è, quindi di 30mila euro. Il reddito più alto del triennio (105mila euro) viene ridotto del 5%, ossia di 5.250 euro. La base imponibile per la flat tax incrementale, quindi, diventa 24.750 euro (30mila meno 5.250 euro), su cui verrà applicata l’imposta sostitutiva al 15%, per un importo complessivo di 3.712,50 euro. Il risparmio fiscale, in questo caso, sfiora i 7mila euro.

Taglio del cuneo fiscale

I lavoratori dipendenti non avranno la possibilità di aderire alla flat tax ma è stato previsto un rafforzamento del taglio del cuneo fiscale. Nello specifico, si tratta di tre punti in meno sulle retribuzioni fino a 25mila euro e due punti in meno per quelle tra 25 e 35mila. La manovra prevede anche una “tregua fiscale” per le vecchie cartelle esattoriali non pagate, fino a mille euro, affidate alla riscossione dal 2000 al 2015. Verranno annullate anche le multe, nonostante siano legate alla decisione finale dei sindaci.

Famiglie: assegno unico rinforzato

Sale da 100 a 150 euro la maggiorazione forfettaria mensile per l’assegno unico per le famiglie con 4 o più figli, mentre è previsto un aumento del 50% dell’assegno per ogni figlio sotto un anno d’età e sotto i 3 anni per i nuclei con almeno tre figli e un Isee fino a 40mila euro. Tra le misure a sostegno delle famiglie, trova spazio anche il congedo parentale, che passa dal 30 all’80% per un mese aggiuntivo, anche per i papà. Viene introdotto il taglio dell’Iva al 5% per i pannolini, il latte in polvere, i seggiolini e altri prodotti per l’infanzia. Basta smart working semplificato per i genitori.

Reddito solo per 7 mesi

Il reddito di cittadinanza verrà abolito dal primo gennaio 2024, per essere sostituito con nuove misure di welfare. Nel 2023 il reddito sarà erogato solo per 7 mesi agli under 60 non disabili e senza figli minori, quelli che sono considerati “occupabili” e che dovranno frequentare per sei mesi un corso di formazione. Il governo deciderà a gennaio sull’eventualità di sospendere il reddito dopo il rifiuto di una sola offerta di lavoro. Tutti i componenti della famiglia che riceve il sussidio devono risiedere in Italia. I ragazzi tra i 18 e i 29 anni perderanno il diritto al reddito se non completano l’obbligo scolastico. Potenziati gli incentivi per le aziende che assumono percettori del reddito di cittadinanza e giovani under 36. Tornano i voucher, per prestazioni occasionali e per i lavoratori stagionali nel turismo e in agricoltura, con il tetto massimo che sale da 5mila a 10mila euro l’anno.

Pensioni, si passa a Quota 103

Tra le novità della manovra, in ambito pensionistico, c’è il passaggio da Quota 102 a Quota 103. Nel 2023 potranno, quindi, andare in pensione anticipata i lavoratori con almeno 41 anni di contributi e 62 anni d’età. Si tratta, secondo le stime del governo, di una platea potenziale di circa 41mila lavoratori. Prorogata l’Ape sociale nel 2023 come Opzione donna ma con dei nuovi requisiti più stringenti: potranno utilizzarla solo invalide, caregiver e licenziate. Chi ha i requisiti per Quota 103 ma resta al lavoro, può optare per il “bonus Maroni” e ricevere in busta paga il 9,19% in più, pari alla sua quota di contributi

Tetto di 5mila euro per i contanti

Si potranno effettuare pagamenti in contanti fino a 5mila euro; il precedente limite era di 2mila euro. Per i pagamenti digitali, dopo il braccio di ferro con Bruxelles, resta tutto invariato: gli esercenti sono obbligati ad accettare pagamenti con carte o app di qualsiasi importo, la sanzione per chi non dovesse accettarli è di 30 euro più il 4% del valore della spesa.

Mutui e Superbonus

Per quanto riguarda le misure che interessano la casa, sarà più facile passare da un mutuo a tasso variabile a uno a tasso fisso. Lo potrà fare chi ha un Isee fino a 35mila euro, in regola con i pagamenti e un debito residuo fino a 200mila euro. Sconto del 50% per chi acquista case green, di classe A o B, direttamente dal costruttore, entro il 31 dicembre 2023. Confermati, infine, tutti i bonus edilizi: sisma, eco, bonus verde, ristrutturazione ma non quello facciate. Prorogato al 31 dicembre 2022 il termine della Cilas per il Superbonus 110% per i condomini. Nel 2023 il Superbonus scenderà al 90%. Confermato il bonus mobili, per chi ristruttura casa, fino a 8mila euro.

“Salva sport”

Tra le misure più discusse, quella che consente di saldare il debito verso lo Stato (900 milioni di euro) per i contributi non versati durante la pandemia, a tutte le società sportive, le federazioni, società dilettantistiche e professionistiche, i club di Serie A, in 60 rate fino al 2027, con una maggiorazione del 3%. Si tratta del cosiddetto “Salva sport” e prevede che il mancato pagamento di una rata implichi la perdita del beneficio.

Lavoro, come svolgere più attività con un’unica partita Iva

Può succedere che nell’arco della propria carriera lavorativa, si decida di avviare una seconda attività. La domanda che si pongono imprenditori e liberi professionisti è se possono aggiungere un’attività alla partita Iva che già utilizzano. La risposta è affermativa. Anche perché non è possibile aprire più di una partita Iva contemporaneamente, ma si possono aggiungere più codici Ateco, corrispondenti alle diverse attività che il libero professionista o lavoratore autonomo intende svolgere.

Cos’è il codice Ateco

Per prima cosa, spieghiamo cos’è il codice Ateco che identifica ogni professione. Si tratta di un codice numerico adottato dall’Istat, in collaborazione con l’Agenzia delle Entrate e le Camere di commercio, con lo scopo di identificare in maniera univoca le singole attività economiche, sia ai fini statistici ma, soprattutto, fiscali. Facciamo qualche esempio: il commercio online ha il codice Ateco 47.91.10, il social media manager il codice 73.11.02 e il giornalista freelance 90.03.01, e così via.

Come scegliere il codice Ateco

Se per alcune professioni l’individuazione del codice Ateco è immediata e non lascia spazio a dubbi, per alcune nuove attività, pensiamo nello specifico a quelle legate al mondo digitale, ci può essere qualche difficoltà in più. Non tutte le nuove professioni del mondo digital hanno già un codice Ateco associato, per questo è sempre bene fare una scelta attenta, facendosi anche consigliare da un professionista abilitato che potrà poi anche seguire la gestione fiscale dell’attività. Una volta individuato il codice Ateco della attività che si vuole svolgere, bisognerà comunicarlo, compilando il modello AA9/12 da inviare all’Agenzia delle Entrate.

Quanto costa aggiungere nuove attività

Precisiamo subito che non c’è un limite ai codici Ateco che si possono associare alla partita Iva. È possibile sceglierne uno, o più di uno, sia nel momento dell’apertura, che in una fase successiva. Per aggiungere un codice Ateco, quindi associare una nuova attività alla posizione fiscale, bisognerà inviare la comunicazione all’Agenzia delle Entrate, compilando sempre il modello AA9/12. Quanto costa aggiungere un codice Ateco? Se si tratta di un libero professionista che esercita un’attività professionale che non necessita di iscrizione in Camera di commercio, l’operazione non prevede alcun costo. Diversamente, se si trattasse di un’attività artigianale o commerciale, occorrerà effettuare una pratica di variazione anche in Camera di commercio, oltre che all’Agenzia delle Entrate, pagando una marca da bollo e diritti di segreteria (17,50 euro e 18 euro).

Quando non è possibile svolgere più attività con la stessa partita Iva

Se è vero che da un punto di vista fiscale non ci sono limiti nell’aggiungere codici Ateco differenti alla stessa partita Iva, ci possono però essere delle incompatibilità legate a professioni che prevedono l’iscrizione ad un ordine professionale. Ingegneri, architetti, commercialisti non è detto che possano avviare attività diverse dalla loro professione principale. L’agente immobiliare, per fare un esempio, non è libero di aggiungere codici Ateco per attività imprenditoriali dello stesso settore, perché non può fare il mediatore creditizio. Per i liberi professionisti iscritti a un ordine professionale, quindi, è consigliabile verificare proprio con l’ordine di appartenenza l’assenza di criticità nello svolgere più attività con la stessa partita Iva, oltre all’esercizio della professione principale.

Regime forfettario con più attività

Anche i contribuenti che hanno aderito al regime forfettario possono esercitare più attività, con codici Ateco differenti. Con questo regime, però, ogni codice Ateco ha un indice di redditività definito, utile per calcolare l’imposta sostitutiva (con aliquota al 5% oppure al 15%) da versare in sede di dichiarazione dei redditi. Ai fini della permanenza nel regime forfettario (il fatturato non deve superare la soglia dei 65mila euro all’anno), bisogna considerare il limite più elevato tra quelli fissati per ciascuna delle attività esercitate. Se si tratta di attività dello stesso settore, con lo stesso indice di redditività, si sommeranno i fatturati di ciascuna attività. Se si esercitano attività di settori diversi, bisognerà applicare a ciascun fatturato il corrispondente coefficiente di redditività e si dovrà suddividere i ricavi delle due attività.

Partita Iva: quale regime fiscale conviene scegliere

Prima o poi il momento arriva: occorre aprire la partita Iva. E la domanda che subito ci si pone è: quale regime scegliere? Ordinario o forfettario? Ovviamente non c’è una risposta che vada bene per tutti. Ci sono, invece, regimi fiscali diversi per andare incontro a differenti volumi d’affari, con una gestione più semplice per ditte individuali o liberi professionisti all’inizio della loro attività. La scelta andrebbe fatta chiedendo a un commercialista preparato quale possa essere la soluzione più adatta rispetto all’attività che si vuole svolgere. Bisognerà individuare non solo il regime fiscale, ma anche il codice Ateco e la cassa di previdenza di riferimento.

Quando la ritenuta d’acconto non basta più

Prima di aprire la Partita Iva, si può svolgere l’attività di lavoro autonomo, utilizzando la prestazione occasionale. Ci sono, però, dei limiti da rispettare: l’attività deve appunto avere requisiti di occasionalità e non continuità; non può riguardare un’attività che già viene svolta in modo professionale; non ci deve essere alcun legame di subordinazione con il committente che ha commissionato il lavoro; e non può essere un ecommerce, perché in questo caso serve aprire sin da subito la Partita Iva.

La scelta del codice Ateco

Ancora prima di definire il regime fiscale, è bene individuare il proprio codice Ateco. Si tratta di un codice che viene usato per classificare le diverse attività che possono essere svolte in forma autonoma. L’architetto, l’avvocato, il grafico: ogni professione e attività ha un proprio codice Ateco che è importante indicare nella domanda di apertura della Partita Iva. È fondamentale perché, soprattutto con il regime forfettario, sulla base del coefficiente di redditività associato si definisce la percentuale su cui calcolare le tasse da pagare. Sempre il codice Ateco servirà anche per determinare la cassa previdenziale alla quale versare i contributi. Nel caso di un professionista iscritto a un ordine, sarà la cassa privata di riferimento, diversamente sarà la gestione dell’Inps.

Scegliere la cassa previdenziale

Chi apre la Partita Iva, oltre alle tasse – che variano in base al regime fiscale scelto – dovrà anche versare i contributi previdenziali. Ci sono professionisti, iscritti a un ordine professionale, che sono obbligati a versare i contributi previdenziali alle loro casse di riferimento. Per esempio, psicologi, avvocati, giornalisti. Ogni cassa privata ha le sue regole per i versamenti. I professionisti che non hanno una cassa dedicata dovranno versare i contributi alla gestione separata Inps, con una percentuale che viene applicata al guadagno. I commercianti e gli artigiani, in generale i lavoratori autonomi, dovranno versare i contributi alle relative casse gestite dall’Inps ma, in questo caso, sono previsti anche dei contributi minimi da versare, indipendentemente dal fatturato.

 

Quale regime fiscale scegliere?

Il prossimo passo per chi ha deciso di aprire la Partita Iva è quello di individuare il regime fiscale più adatto, tra quello ordinario e forfettario. La scelta dipende prima di tutto dal volume d’affari. Il regime forfettario può sfruttare una tassazione particolarmente conveniente (5% o 15%) ma non può essere scelto per attività che hanno incassi di ricavi e compensi superiori a 65mila euro all’anno. In questo caso bisognerà optare per il regime ordinario che, a sua volta, prevede il regime ordinario semplificato.

Il regime ordinario

La scelta del regime fiscale ordinario è l’unica consentita per società di capitali e per le società di persone e ditte individuali che, nell’anno precedente, hanno conseguito ricavi superiori a 400mila euro per le attività di prestazione di servizi; 700mila euro negli altri casi. La tassazione del regime ordinario fa riferimento alle aliquote Iperf quando ad applicarlo è una persona fisica socia di società di persone o di capitali in regime di trasparenza o una ditta individuale. È possibile “scaricare” le spese sostenute che vanno quindi scalate dall’imponibile per intero oppure con una percentuale che dipende dal tipo di spesa.

 

Il regime semplificato

Le società di persone e le ditte individuali che, nel corso dell’anno solare, hanno prodotto ricavi inferiori a 400mila euro per le prestazioni di servizi e 700mila euro per tutte le altre attività possono scegliere il regime semplificato che, a differenza di quello ordinario, implica una burocrazia più leggera. Per i liberi professionisti non è presente alcun limite di ricavi per la scelta del regime semplificato. La tassazione, in base alle aliquote Irpef, è la stessa del regime ordinario. I contribuenti che hanno scelto il regime ordinario o semplificato devono rispettare diversi adempimenti nel corso dell’anno. Nella contabilità ordinaria: registri Iva, libro giornale, registro dei beni ammortizzabili, libro inventari e libro soci. In quella semplificata solo registri Iva e registro degli incassi e dei pagamenti.

Come gestire la contabilità

La dichiarazione dei redditi si presenta una volta all’anno, la dichiarazione delle liquidazioni periodiche Iva ogni tre mesi. C’è l’obbligo della fatturazione elettronica. Un’altra differenza tra il regime ordinario e quello semplificato riguarda la modalità di determinazione del reddito: nella contabilità ordinaria avviene mediante il principio di competenza (costi e ricavi devono essere contabilizzati nel momento in vengono maturati), mentre nella contabilità semplificata la determinazione avviene mediante il principio di cassa. Vuol dire che costi e ricavi vengono registrati in contabilità nel momento in cui si pagano o incassano.

Il regime forfettario

Per i professionisti che hanno avviato da poco la propria attività, la scelta del regime forfettario è quella più conveniente. Abbiamo spiegato in questo articolo quali sono le caratteristiche e chi può sceglierlo. In sintesi, con il regime forfettario si paga un’imposta sostitutiva con aliquota al 15% o al 5%, in caso di nuove attività per i primi cinque anni. L’imposta non si applica sul totale delle fatture incassate, ma sull’imponibile fiscale che si ricava con il coefficiente di redditività. Per esempio, un architetto (codice Ateco 71.11.00) ha un coefficiente di redditività al 78%. Quindi, se incassa in un anno 35mila euro, l’imponibile fiscale sarà di 27.300 euro (35mila x 78%), a cui andrà poi sottratta la somma da destinare alla previdenza, prima di moltiplicare per l’aliquota da versare del 15%. I forfettari non versano l’Iva, nessun obbligo di registrazione delle fatture e delle note spesa, esonero da studi di settore ed esterometro e nessuna applicazione di ritenute alla fonte. La fattura elettronica non è obbligatoria, ma lo sarà in futuro.

Dichiarazione dei redditi 2022: modalità e scadenze da fissare in calendario

Ci siamo, la stagione della dichiarazione dei redditi sta per entrare nel vivo. Per non incorrere in sanzioni, però, è bene tenere a mente, anzi segnarsi sul calendario, le scadenze per presentare il modello della dichiarazione 2022, relativa ai redditi del 2021. Vediamo quali sono le date da non dimenticare e quali tipi di modelli scegliere per comunicare i redditi al Fisco e, di conseguenze, pagare le tasse.

Il Modello 730

Iniziamo con il più utilizzato: il Modello 730. Questa dichiarazione dei redditi è dedicata ai lavoratori dipendenti e pensionati e offre diversi vantaggi. Prima di tutto, il contribuente non deve eseguire calcoli e la compilazione risulta più semplice. Si ottiene il rimborso dell’imposta, oppure si procede al saldo, direttamente nella busta paga o nella rata di pensione, a partire dal mese di luglio (per i pensionati il termine slitta ad agosto o settembre).

Il Modello 730 Precompilato

Quest’anno la dichiarazione dei redditi precompilata sarà disponibile dal 23 maggio 2022. Slitta infatti la data a partire dalla quale l’Agenzia delle Entrate renderà disponibile il modello 730 precompilato, che di solito era il 30 aprile. Con la conversione in legge del decreto Sostegni ter, il termine è stato spostato. Chi deciderà di presentare il Modello 730 precompilato, dovrà collegarsi al sito dell’Agenzia delle Entrate (www.agenziaentrate.gov.it) utilizzando lo Spid (https://www.ellequadra.com/spid-cosa-serve-come-richiederlo/), oppure la carta di identità elettronica (CIE), oppure una carta nazionale dei servizi.

I vantaggi della dichiarazione precompilata

I lavoratori o pensionati che decidono di inoltrare al Fisco la precompilata, senza effettuare modifiche, non saranno soggetti a controlli sulle spese detraibili allegate in automatico nella dichiarazione. Si può anche modificare/integrare il modello Redditi precompilato prima di inviarlo all’Agenzia delle Entrate. Non c’è alcun obbligo di presentare il Modello 730 precompilato, è sempre possibile, infatti, farlo con modalità ordinarie, ossia tramite Caf o professionista abilitato.

Modello 730/2022: entro il 30 settembre

La presentazione del modello 730 relativo ai redditi del 2021, dovrà essere effettuata entro il 30 settembre 2022. Nello specifico: il 730 precompilato dovrà essere presentato direttamente all’Agenzia delle Entrate o al Caf o al professionista o al sostituto d’imposta che presta l’assistenza fiscale. Il 730 ordinario dovrà essere presentato al Caf o al professionista abilitato o al sostituto di imposta: nel caso di presentazione al Caf o al professionista abilitato il controllo formale sulla documentazione presentata e sulla compilazione è effettuato nei confronti del Caf o del professionista.

Le modalità di presentazione

Il contribuente può scegliere di presentare il Modello 730 scegliendo la modalità telematica, in questo caso con la dichiarazione precompilata, oppure può preferire il Modello 730 ordinario che dovrà essere presentato da un Caf o da uno professionista abilitato, come per esempio un consulente del lavoro o uno studio di commercialisti o che presta assistenza fiscale. Chi deciderà per la precompilata, dovrà indicare i dati del sostituto di imposta, compilare la scheda per la scelta della destinazione dell’8, del 5 e del 2 per mille dell’Irpef, anche se non esprime alcuna scelta, e verificare la correttezza dei dati inseriti nel 730.

Scegliere un Caf o un professionista abilitato

Il contribuente o pensionato che, invece, sceglie di presentare il 730 tramite l’assistenza di un Caf o di un professionista abilitato deve consegnare oltre alla delega per l’accesso al modello 730 precompilato, il modello 730-1, in busta chiusa. Il modello riporta la scelta per destinare l’8, il 5 e il 2 per mille dell’Irpef. Bisognerà presentare al Caf o professionista abilitato anche la documentazione originale, per esempio gli scontrini o fatture che riguardano le spese detraibili. Il contribuente deve esibire tutti i documenti che dimostrano il diritto alle detrazioni e deduzioni richieste in dichiarazione. I documenti vanno conservato per 5 anni. Quelli relativi alla dichiarazione 2022, fino al 31 dicembre 2027.

Dichiarazione dei redditi con partita Iva: entro il 30 novembre

I titolari di partita Iva devono utilizzare il Modello Redditi Persone Fisiche. Nel modello devono essere inserite tutte le entrare e le uscite avvenute nell’anno precedente alla presentazione. Il Modello Unico è utilizzato per le dichiarazioni delle persone fisiche, principalmente per la dichiarazione dei redditi d’impresa e/o di lavoro autonomo delle partite Iva. La dichiarazione dei redditi va presentata, in via telematica, entro il 30 novembre 2022. I titolari di partita Iva possono scegliere la consulenza fiscale di un professionista (https://www.ellequadra.com/studio-contabile/gestione-fiscale/) che si occuperà di rispettare gli adempimenti fiscali e della stesura delle dichiarazioni.

Bitcoin e Fisco: ecco quante tasse bisogna pagare sui guadagni

Le criptovalute sono ormai da qualche tempo al centro dell’interesse di investitori e non solo. Le oscillazioni di valore del Bitcoin, la più famosa criptomoneta scambiata, attira investitori anche poco esperti che, attraverso piattaforme di scambio, mettono in portafoglio criptovalute. Ma come funziona con il Fisco: bisogna pagare le tasse sui guadagni? La risposta è sì. Ma occorre subito precisare che in materia c’è un vuoto normativo che lascia margini di incertezza.

Le criptomonete assimilate a valute straniere

L’Italia è uno dei pochi Paesi che considera le monete digitali come valute estere. L’Agenzia delle Entrate, infatti, con le risoluzioni 788/E/2021 e 72/E/2016, assimila Bitcoin e il resto delle valute digitali alle valute estere, nonostante la evidente a-territorialità. La base normativa a cui si ispira l’Agenzia fa riferimento al Dlgs 90/2017, che inquadra la valuta virtuale come “rappresentazione digitale di valore” utilizzabile come “mezzo di scambio”.

La tassazione del Bitcoin

Dal momento che il Bitcoin viene considerato dal Fisco come una normale valuta internazionale, è soggetto alla consueta tassazione riservata alle rendite finanziarie, con le plusvalenze che sono decurtate del 26 per cento di capital gain. Le criptovalute vengono però scambiate su “exchange”, ossia piattaforme come Coibase, Binance, Kucoin, Crypto.com o Kraken, che non sono banche e, quindi, non fungono da sostituto di imposta. Questo significa che, se la transazione non passa da canali bancari tradizionali – a proposito, ci sono banche fintech come Revolut che consentono di acquistare e vendere criptovalute -, la tassazione non avviene in automatico.

L’obbligo in dichiarazione dei redditi

Il contribuente, quindi, dovrebbe spontaneamente dichiarare eventuali rendite ottenute dalla plusvalenza seguente la vendita di criptovalute. L’Agenzia delle Entrate ha confermato l’obbligo di compilazione del quadro RW del Modello Unico Persone Fisiche, nella dichiarazione dei redditi, assimilando le criptovalute, sotto il profilo fiscale, alle altre valute estere. Dichiarare l’ammontare dei Bitcoin posseduti al Fisco significa sottoporre le criptovalute alla tassazione ordinaria degli strumenti finanziari, con aliquota al 26 per cento.

Quando bisogna pagare le tasse

Le plusvalenze incassate a seguito di “cessione a termine” sono tassate indipendentemente dagli importi interessati. Questo è il caso, ad esempio, dei contratti derivati che attribuiscono il diritto o obbligo di cedere o acquistare moneta digitale, ad una data prestabilita. Le “cessioni a pronti” di criptovalute non dovrebbero generare redditi imponibili, salvo nel caso in cui la valuta ceduta derivi da prelievi da portafogli elettronici (wallet) per i quali la giacenza media superi un controvalore di 51.645,69 euro, per almeno sette giorni lavorativi continuativi nel periodo d’imposta, secondo quanto previsto dall’articolo 67, comma 1-ter, Tuir. La tassazione del 26 per cento sulle plusvalenze sarà applicata solo nel momento in cui verrà disposta la vendita.

La novità: il registro degli operatori

Quest’anno è stato introdotto il registro degli operatori in criptovalute. Il decreto del Mef 13 gennaio 2022 (Gazzetta ufficiale del 17 febbraio 2022) dà attuazione alle regole per poter operare con le criptovalute. Viene creata una vera e propria anagrafe delle valute digitali che riguarderà sia le operazioni eseguite sia quali operatori saranno abilitati. In particolare, per questi ultimi viene introdotto l’obbligo di essere iscritti ad un registro gestito dall’Oam, l’organismo degli agenti e dei mediatori creditizi. Questi obblighi da un lato aumenteranno i costi per gli operatori e, dall’altro, renderanno più agevoli i controlli, anche sui temi di residenza degli operatori stessi. Si tratta, quindi, di un primo passo. In attesa di una normativa ad hoc.

Legge di Bilancio 2022, la guida a tutti i bonus

Una pioggia di bonus nella legge di Bilancio 2022. Il governo Draghi ha riconfermato alcune agevolazioni già attive dallo scorso anno, prevedendo anche un pacchetto di misure per le imprese. Bonus mobili e bonus tv, ma anche agevolazioni per chi cambia il rubinetto e per sistemi di filtraggio dell’acqua. Ecco quali sono i principali bonus, per privati e imprese, previsti nella legge di Bilancio 2022, approvata lo scorso dicembre.

Superbonus 110, cosa cambia?

L’ultima legge di Bilancio ha confermato il Superbonus 110. Nelle ultime settimane non sono mancate le polemiche, a seguito di truffe milionarie sulla cessione del credito, che hanno portato ad alcune modifiche rispetto a quanto previsto con la proroga nell’ultima finanziaria. Il Superbonus 110 è stato prorogato fino al 2023 per i condomini e sugli edifici composti da due a quattro unità immobiliari distintamente accatastate anche se di proprietà di persone fisiche. Prevista la proroga fino al 2025 per condomini ed edifici composti da due a quattro unità immobiliari ma con un’aliquota decrescente, pari al 70% nel 2024 e al 65% nel 2025.

Le ultime novità

Tornano le cessioni ma devono essere tracciabili e sono previste sanzioni più dure per chi truffa lo Stato. Il governo è intervenuto nuovamente, il 18 febbraio 2022, con un decreto ad hoc, intitolato “Misure urgenti per il contrasto alle frodi in materia edilizia”, superando così la stretta che aveva di fatto bloccato il mercato dei crediti ceduti. Saranno ancora possibili le cessioni multiple dei crediti, ma con nuovi limiti: dopo la cessione del primo richiedente, sono consentite soltanto “due ulteriori cessioni” solo se effettuate “a favore di banche e intermediari finanziari iscritti all’albo”.

Il codice identificativo univoco

Sempre nell’intento di limitare le truffe, al credito ceduto è stato attribuito “un codice identificativo univoco, da indicare nelle comunicazione delle eventuali successive cessioni”. Le nuove disposizioni si applicano alle cessioni inviate all’Agenzia delle Entrate dal primo maggio 2022. Sanzioni più severe, inoltre, per chi gonfia le spese per rimborsi fittizi, con multe da 50mila fino a 100mila euro e con la reclusione che va da due a cinque anni.

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Nessun limite per la prima casa

Come deciso già nella legge di Bilancio 2022, non c’è nessun limite legato alla prima casa, resta valido il vincolo di avanzamento dei lavori del 30 per cento entro il 30 giugno 2022. Potrà usufruire del Superbonus nel 2022 anche chi abita in case unifamiliari, ossia villette e abitazioni indipendenti, e senza limite di Isee. Le nuove regole, inoltre, allungano il Superbonus per gli impianti fotovoltaici e introducono un’agevolazione per l’abbattimento di barriere architettoniche. La validità per i lavori sugli edifici che si trovano in aree colpite da eventi sismici è stata estesa fino al 2025.

Detrazione e cessione del credito

La detrazione del Superbonus 110 nella dichiarazione dei redditi cambia in base all’anno in cui vengono sostenute le spese. Detrazione in cinque rate di pari importo per le spese sostenute nel 2020 e nel 2021, mentre detrazione in quattro rate di pari importo per le spese relative al 2022. Resta valido lo sconto in fattura e la cessione del credito per il Superbonus 110 fino al 31 dicembre 2025, seguendo le nuove norme introdotte con l’ultimo decreto.

Tetti massimi per gli interventi

Il 15 febbraio 2022 il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, ha firmato il decreto che fissa i tetti massimi per gli interventi del Superbonus 110. I massimali potranno essere fino al 20% più alti di quelli già in vigore per l’Ecobonus, in considerazione dell’aumento del costo delle materie prime e dell’inflazione. Una scelta che mira a porre un freno all’eccessiva lievitazione dei costi.

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Bonus tv

Il bonus tv e decoder è stato rifinanziato con 68 milioni di euro per l’anno 2022. L’agevolazione prevede l’erogazione di contributi per acquistare un nuovo decoder (senza rottamare quello vecchio) oppure un apparecchio televisivo (sconto del 20% fino a 100 euro), ma in questo caso bisogna rottamare un televisore acquistato prima del 22 dicembre 2018. I pensionati con più di 70 anni, con un reddito non superiore a 20.000 euro annui, previa richiesta a Poste, possono ricevere un decoder direttamente a casa.

Quali sono gli altri bonus

Nella legge di Bilancio 2022 sono stati inseriti anche altri bonus, come quello mobili fino a 10mila euro. Semaforo verde per il prossimo anno al bonus rubinetti, per l’acquisto e l’installazione di sistemi di filtraggio dell’acqua. Per i giovani è stato rinnovato, in maniera permanente, il bonus cultura. Per tutto il 2022, inoltre, riconfermati gli incentivi fiscali per l’acquisto della prima casa da parte degli under 36. Allungata anche la possibilità di sospendere il pagamento delle rate del mutuo prima casa, fino al 31 dicembre 2022 con il Fondo Gasparrini, per chi si trova in situazioni di emergenza, compresi lavoratori autonomi e liberi professionisti. La domanda va presentata direttamente alla banca, non sono previste spese di istruttoria e non serve l’Isee.

Irpef 2022, cosa cambia e chi ci guadagna con le nuove aliquote

Cambia la tassazione per i lavoratori dipendenti. Con la legge di Bilancio 2022 gli scaglioni Irpef sono diminuiti da cinque a quattro. L’aliquota d’imposta per i lavoratori dipendenti è del 23% per i redditi fino a 15mila euro; del 25% per quelli compresi tra i 15mila e i 28mila euro; del 35% per i redditi fra 28mila e 50mila euro e, infine, del 43% per i redditi superiori ai 50mila euro. Il fine della riforma fiscale è quello di alleggerire la pressione sui redditi medi. Addio all’Irap per i lavoratori autonomi, le ditte individuali, e i liberi professionisti.

Irpef, nel 2020 vale 187 miliardi

L’Irpef, l’imposta sul reddito delle persone fisiche, è tra le tasse più rilevanti per le casse dell’Erario. Tanto per rendere l’idea, nel 2020 l’importo complessivo ha superato i 187 miliardi di euro, pari a più di un terzo del totale delle entrate tributarie, nonostante un calo del 2,2% rispetto all’anno precedente, a causa delle misure adottate per fronteggiare l’emergenza sanitaria. Si tratta di una tassa che riguarda le persone fisiche e, in alcuni casi, le società che però la versano attraverso i soci. Chi risiede in Italia paga sui redditi prodotti in Italia o all’estero, chi invece non è residente è tenuto a versare l’imposta solo relativamente ai redditi prodotti nel territorio italiano.

Risparmi per chi guadagna 40mila euro

Chi ci guadagna con le quattro nuove aliquote in vigore dal 2022? Secondo i calcoli di Altroconsumo, i lavoratori dipendenti con redditi lordi annui di 40mila euro possono risparmiare 945 euro di tasse, mentre in busta paga resteranno solo 153 euro in più per chi guadagna 35mila euro lordi all’anno. E chi ha uno stipendio da 60mila euro lordi? Il vantaggio fiscale cala a 570 euro, cifra che scende ulteriormente a 270 euro per retribuzioni che superano gli 80mila euro all’anno. Tra i pensionati, il risparmio massimo arriva a 758 euro per chi incassa assegni da 50mila euro all’anno. Si scende poi a 452 euro e a 470 euro per pensioni rispettivamente da 40 e 65mila euro all’anno. Si ritroveranno in tasca solo 120 euro in più all’anno i pensionati che incassano 25mila euro all’anno.

 

Le previsioni dell’Ufficio parlamentare di bilancio

Sono leggermente diverse le previsioni dell’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb) sui vantaggi della riforma fiscale. Secondo l’Ufficio, “la riduzione di imposta in valore assoluto è maggiore nelle classi di reddito medio-alte, con un beneficio medio di circa 765 euro per i contribuenti con reddito imponibile tra i 42mila e i 54mila euro, fascia maggiormente interessata dalla operazione di regolarizzazione delle aliquote marginali per i lavoratori dipendenti e che consegue anche il beneficio massimo in termini relativi (2%)”. Secondo l’Upb, la riforma garantirà maggiori vantaggi ai lavoratori dipendenti, con 4 miliardi di euro di risorse stanziate, pari al 55%, mentre ai pensionati andranno solo 2,9 miliardi.

Come cambia il bonus Renzi

Per fare i conti precisi di quanto nel 2022 resterà in tasca e quanto, invece, occorrerà sborsare per pagare le tasse, bisogna anche tenere in considerazione il peso delle detrazioni fiscali. L’ex bonus Renzi, inizialmente di 80 euro al mese, innalzato poi a 100 euro al mese, non viene abolito ma resterà solo per i dipendenti con redditi fino a 15mila euro. In determinate condizioni, resterà valido anche per i lavoratori che arrivano a guadagnare fino a 28mila euro all’anno. Nello specifico, per i redditi compresi tra i 15 e i 28mila euro, il bonus può essere ridotto, o anche non corrisposto, se altre detrazioni (per esempio familiari a carico, lavoro dipendente, mutuo prima casa e lavori edilizi) superano l’imposta dovuta.

Detrazioni fiscali più alte

Per i lavoratori dipendenti che guadagnano più di 28mila euro annui, il bonus Renzi non sarà più corrisposto (fino al 2021 spettava a redditi non superiori a 40mila euro all’anno). L’agevolazione sarà sostituita con nuove e più alte detrazioni fiscali riconosciute sul reddito da lavoro. L’importo massimo sarà di 3.100 euro, a cui sia aggiungono 65 euro per i contribuenti con redditi tra i 25mila e i 35mila euro. Per quanto riguarda gli sgravi fiscali, si applicano solo ai redditi che non superano la soglia limite di 50mila euro.

Cosa cambia per le partite Iva

Nella legge di Bilancio 2022 è stata prevista l’abolizione dell’Irap per i lavoratori autonomi, le ditte individuali, e i liberi professionisti. Per semplificare, per le partite Iva che non aderiscono al regime forfettario (già esentato dal pagamento Irap), l’ultimo versamento Irap sarà il saldo dell’imposta 2021, da regolare a giugno 2022, dal momento che la tassa è stata cancellata a partire dall’anno fiscale 2022. Resta da valutare se con i successivi decreti legislativi, che il governo dovrà emanare entro diciotto mesi dalla data di entrate in vigore della legge di Bilancio, in tema di revisione del sistema fiscale, sarà ampliata la platea dei beneficiari. Nelle prossime settimane, con la legge delega, non sono esclusi interventi che riguardano l’obbligo di fatturazione elettronica anche per le partite Iva in regime forfettario.

Legge di Bilancio 2022: tutte le principali misure introdotte con la legge di bilancio 2022

La legge di Bilancio 2022, la prima del governo Draghi, vale 32 miliardi di euro.
Il testo approvato dal Parlamento prevede novità in tema fiscale, con la riduzione delle aliquote Irpef, ma anche conferme sul tema lavoro e Superbonus. Cambia anche la previdenza, con l’addio a Quota 100 e l’introduzione di Quota 102, per ritirarsi dal lavoro con 64 anni di età e 38 di contributi. Nelle intenzioni del governo, “la manovra di Bilancio ha l’obiettivo di sostenere l’economia nella fase di uscita dalla pandemia e rafforzare il tasso di crescita nel medio termine” con l’obiettivo di “ridurre il carico fiscale per famiglie e imprese”.
Vediamo, nel dettaglio, quali sono le principali novità della legge di Bilancio 2022 approvata definitivamente dall’Aula.

Novità Legge di Bilancio 2022: Taglio dell’Irpef e Irap

Il governo ha stanziato 8 miliardi di euro per il taglio delle tasse previsto nella legge di Bilancio 2022.
Le aliquote dell’Irpef si riducono, da cinque a quattro, e saranno al 23% per i redditi fino a 15mila euro, al 25% per i redditi tra 15mila e 28mila euro, al 35% tra 28mila e 50mila euro e al 43% oltre i 50mila euro.
Resta il bonus Renzi da 100 euro per i redditi fino a 15mila euro e a scalare fino a 28mila euro di reddito. Le addizionali regionali e comunali all’imposta sull’Irpef slittano a marzo, per consentire alle Regioni e province autonome di adeguarsi alle nuove disposizioni. Sempre in tema fiscale, la legge di Bilancio 2022 prevede il taglio dell’Irap per autonomi e professionisti con partita Iva. Saranno interessati circa 835mila lavoratori. 

Novità legge di bilancio 2022

Superbonus prorogato nella Legge di Bilancio 2022

Dopo un lungo dibattito, il Superbonus viene riconfermato per il 2022, anche sulle case unifamiliari, ossia villette e abitazioni indipendenti, e senza limiti di Isee. Nessun limite legato alla prima casa, resta valido il vincolo di avanzamento dei lavori del 30 per cento entro il 30 giugno 2022.
Le nuove norme, inoltre, allungano il Superbonus per gli impianti fotovoltaici e introducono un’agevolazione per l’abbattimento di barriere architettoniche. Il Superbonus per i lavori sugli edifici che si trovano in aree colpite da eventi sismici viene prorogato fino al 2025. Per la fruizione del Superbonus, oltre alla detrazione, restano valide le due alternative che sono:

  • lo sconto in fattura;
  • la cessione del credito.

Legge di Bilancio 2022: una sfilza di bonus

La legge di Bilancio 2022 prevede anche una serie di bonus, iniziando da quello mobili fino a 10mila euro. Riconfermato anche per il prossimo anno il bonus tv, con lo stanziamento di ulteriori 68 milioni di euro. I pensionati con più di 70 anni, con un trattamento pensionistico inferiore ai 20mila euro, potranno ricevere il decoder direttamente a casa gratuitamente.
Rinnovato per un altro anno il bonus rubinetti, per l’acquisto e l’installazione di sistemi di filtraggio dell’acqua. Per i giovani è stato rifinanziato in modo permanente il bonus cultura per i diciottenni. Per tutto il 2022 sono stati estesi gli incentivi fiscali per l’acquisto della prima casa da parte di under 36.
Ci sarà tempo fino a sei mesi per pagare, senza interessi di mora e sanzioni, le cartelle notificate dal 1° gennaio al 31 marzo 2022.

Bonus e superbonus nella legge di bilancio 2022

Novità contro il caro bollette nella Legge di Bilancio 2022

Per tagliare il costo delle bollette di luce gas nel primo trimestre del 2022 vengono stanziati 3,8 miliardi di euro. Nello specifico, azzerati gli oneri generali di sistema per le utenze elettriche domestiche e per le utenze del gas.
Si stabilisce, inoltre, l’applicazione dell’aliquota Iva al 5% sul gas metano per le bollette di gennaio, febbraio e marzo 2022. Tra le novità più importanti introdotte dalla legge di Bilancio 2022, oltre al potenziamento del bonus bollette per i redditi più bassi, c’è la possibilità di rateizzare le bollette non pagate che fanno riferimento a fatture emesse tra il 1° gennaio e il 30 aprile 2022. 

Rifinanziato il reddito di cittadinanza nella legge di Bilancio 2022

Stanziato un ulteriore miliardo di euro nella legge di Bilancio 2022 per finanziare il reddito di cittadinanza. Sono previsti controlli più severi e introdotti correttivi alle modalità di corresponsione. Altri 3 miliardi di euro sono destinati alla riforma degli ammortizzatori sociali, con un aumento dei sussidi di disoccupazione e un’estensione degli istituti di integrazione salariale ordinari e straordinari ai lavoratori di imprese attualmente non inclusi, agli apprendisti e ai lavoratori a domicilio. Previsti incentivi ai contratti di solidarietà, oltre alla proroga per il 2022 e il 2023 del contratto di espansione con l’allargamento a tutte le imprese con più di 50 dipendenti. Un’altra novità introdotta dalla legge di bilancio 2022 riguarda il congedo paternità di 10 giorni che diventa strutturale.

Novità legge di Bilancio 2022: Delocalizzazioni

Nella manovra di Bilancio 2022 sono incluse delle norme contro le delocalizzazioni e riguardano aziende con almeno 250 dipendenti. Nel caso fosse decisa la chiusura di una sede, con minimo 50 licenziamenti, la comunicazione del datore di lavoro dovrà arrivare almeno 90 giorni prima e dovrà anche comunicare per iscritto l’avvio della procedura ai sindacati, alle regioni interessate, ai ministeri del Lavoro e dello Sviluppo economico e all’Anpal. Spetterà poi all’azienda in questione elaborare un piano per limitare gli effetti derivanti dalla chiusura sui lavoratori. 

Malattia e infortunio per le partite Iva: novità legge di Bilancio 2022

Secondo quanto previsto dalla manovra di Bilancio 2022, i professionisti che rimangono a casa in malattia o che sono ricoverati per una patologia in corso, per accertamenti, per intervento chirurgico o per un infortunio grave e che hanno un’inabilità temporanea di più di tre giorni sono momentaneamente esonerati da ogni responsabilità fiscale e, quindi, non possono essere sanzionati nel caso non rispettassero una scadenza. Le nuove norme, però, non riguardano tutte le partita Iva, bensì solo i professionisti iscritti a un albo professionale.