La legge di Bilancio 2023 ha introdotto alcune novità per le partite Iva in regime forfettario. La grande modifica riguarda la soglia limite dei ricavi e dei compensi che danno diritto a usufruire della flat tax, la tassazione agevolata che resta al 15%: si passa da 65mila euro a 85mila euro.
Cosa cambia nel 2023
L’aliquota resta al 15% (al 5% per le nuove attività e per i primi 5 anni). Se si superano i 100mila euro di ricavi o compensi, la fuoriuscita dal regime è però immediata, senza aspettare l’anno successivo. Una modifica, introdotta dal governo, per evitare che ci siano abusi e utilizzi scorretti del regime fiscale. In precedenza, chi superava la soglia dei 65mila euro, tornava nel regime ordinario, soggetto a Iva e Irpef, dall’anno successivo a quello dello sforamento, ma senza alcun limite di fatturato. Quindi, ipoteticamente, si poteva applicare l’aliquota del 15% anche a fatturati molto elevati. Con la nuova flat tax, chi supererà la soglia degli 85mila euro ma restando al di sotto dei 100mila, passerà al regime ordinario dall’anno successivo. Diversamente, in caso di sforamento della soglia dei 100mila euro, la fuoriuscita dal regime forfettario sarà immediata.
I requisiti per accedere al forfettario
La manovra non ha cambiato gli altri aspetti normativi per accedere al regime forfettario. Non possono aderire al regime forfettario i soggetti che hanno avuto nell’anno precedente a quello di riferimento, quindi a gennaio 2023 si considera il 2022, controllo diretto o indiretto di società a responsabilità limitata con attività economiche direttamente o indirettamente riconducibili a quelle svolte individualmente. Non possono più restare nel regime forfettario i titolari di reddito da lavoro dipendente (o pensione) superiore a 30mila euro e i titolari di partita Iva che sostengono spese per compensi ai collaboratori di importo superiore a 20mila euro. Esclusi dal regime anche per i soggetti che hanno accesso ad altri regimi di determinazione forfettaria del reddito. Niente forfettario anche in caso di attività prevalente svolta in favore di un datore di lavoro con cui sono in corso rapporti lavorativi o gli stessi hanno interessato i due anni precedenti, ovvero nei confronti di soggetti direttamente o indirettamente riconducibili ai suddetti datori di lavoro. Una condizione, questa, per evitare di abbandonare un contratto da dipendente per lavorare, in partita Iva e con una fiscalità più vantaggiosa, sempre per lo stesso committente.
Obbligo della fattura elettronica
Dal 1° luglio 2022 è scattato l’obbligo di fatturazione elettronica anche per le partite Iva in regime forfettario che l’anno precedente hanno percepito ricavi o compensi superiori a 25mila euro. Dal 1° gennaio 2024 sarà esteso a tutte le partite Iva in regime forfettario l’obbligo di emettere la fattura in formato elettronico. Per tutte le altre partite Iva l’obbligo di fatturazione elettronica è già in vigore.
Flat tax incrementale: come funziona
L’altra novità della legge di Bilancio è la flat tax incrementale, per le partite Iva non soggette al regime forfettario, ma solo per il 2023: al posto delle aliquote Iperf, verrà applicata un’imposta sostitutiva al 15%, su una base imponibile non superiore a 40mila euro, pari alla differenza tra il reddito determinato nel 2023 e il reddito di importo più elevato dichiarato negli anni 2020, 2021, 2022. Viene applicata una franchigia del 5%.
Come si calcola
Facciamo un esempio per chiarire. Un contribuente dichiara 135mila euro nel 2023 e nel precedente triennio, il reddito più alto dichiarato è stato di 105mila euro. La differenza è, quindi di 30mila euro. Il reddito più alto del triennio (105mila euro) viene ridotto del 5%, ossia di 5.250 euro. La base imponibile per la flat tax incrementale, quindi, diventa 24.750 euro (30mila meno 5.250 euro), su cui verrà applicata l’imposta sostitutiva al 15%, per un importo complessivo di 3.712,50 euro. Il risparmio fiscale, in questo caso, sfiora i 7mila euro.