Lavoro, come svolgere più attività con un’unica partita Iva

Può succedere che nell’arco della propria carriera lavorativa, si decida di avviare una seconda attività. La domanda che si pongono imprenditori e liberi professionisti è se possono aggiungere un’attività alla partita Iva che già utilizzano. La risposta è affermativa. Anche perché non è possibile aprire più di una partita Iva contemporaneamente, ma si possono aggiungere più codici Ateco, corrispondenti alle diverse attività che il libero professionista o lavoratore autonomo intende svolgere.

Cos’è il codice Ateco

Per prima cosa, spieghiamo cos’è il codice Ateco che identifica ogni professione. Si tratta di un codice numerico adottato dall’Istat, in collaborazione con l’Agenzia delle Entrate e le Camere di commercio, con lo scopo di identificare in maniera univoca le singole attività economiche, sia ai fini statistici ma, soprattutto, fiscali. Facciamo qualche esempio: il commercio online ha il codice Ateco 47.91.10, il social media manager il codice 73.11.02 e il giornalista freelance 90.03.01, e così via.

Come scegliere il codice Ateco

Se per alcune professioni l’individuazione del codice Ateco è immediata e non lascia spazio a dubbi, per alcune nuove attività, pensiamo nello specifico a quelle legate al mondo digitale, ci può essere qualche difficoltà in più. Non tutte le nuove professioni del mondo digital hanno già un codice Ateco associato, per questo è sempre bene fare una scelta attenta, facendosi anche consigliare da un professionista abilitato che potrà poi anche seguire la gestione fiscale dell’attività. Una volta individuato il codice Ateco della attività che si vuole svolgere, bisognerà comunicarlo, compilando il modello AA9/12 da inviare all’Agenzia delle Entrate.

Quanto costa aggiungere nuove attività

Precisiamo subito che non c’è un limite ai codici Ateco che si possono associare alla partita Iva. È possibile sceglierne uno, o più di uno, sia nel momento dell’apertura, che in una fase successiva. Per aggiungere un codice Ateco, quindi associare una nuova attività alla posizione fiscale, bisognerà inviare la comunicazione all’Agenzia delle Entrate, compilando sempre il modello AA9/12. Quanto costa aggiungere un codice Ateco? Se si tratta di un libero professionista che esercita un’attività professionale che non necessita di iscrizione in Camera di commercio, l’operazione non prevede alcun costo. Diversamente, se si trattasse di un’attività artigianale o commerciale, occorrerà effettuare una pratica di variazione anche in Camera di commercio, oltre che all’Agenzia delle Entrate, pagando una marca da bollo e diritti di segreteria (17,50 euro e 18 euro).

Quando non è possibile svolgere più attività con la stessa partita Iva

Se è vero che da un punto di vista fiscale non ci sono limiti nell’aggiungere codici Ateco differenti alla stessa partita Iva, ci possono però essere delle incompatibilità legate a professioni che prevedono l’iscrizione ad un ordine professionale. Ingegneri, architetti, commercialisti non è detto che possano avviare attività diverse dalla loro professione principale. L’agente immobiliare, per fare un esempio, non è libero di aggiungere codici Ateco per attività imprenditoriali dello stesso settore, perché non può fare il mediatore creditizio. Per i liberi professionisti iscritti a un ordine professionale, quindi, è consigliabile verificare proprio con l’ordine di appartenenza l’assenza di criticità nello svolgere più attività con la stessa partita Iva, oltre all’esercizio della professione principale.

Regime forfettario con più attività

Anche i contribuenti che hanno aderito al regime forfettario possono esercitare più attività, con codici Ateco differenti. Con questo regime, però, ogni codice Ateco ha un indice di redditività definito, utile per calcolare l’imposta sostitutiva (con aliquota al 5% oppure al 15%) da versare in sede di dichiarazione dei redditi. Ai fini della permanenza nel regime forfettario (il fatturato non deve superare la soglia dei 65mila euro all’anno), bisogna considerare il limite più elevato tra quelli fissati per ciascuna delle attività esercitate. Se si tratta di attività dello stesso settore, con lo stesso indice di redditività, si sommeranno i fatturati di ciascuna attività. Se si esercitano attività di settori diversi, bisognerà applicare a ciascun fatturato il corrispondente coefficiente di redditività e si dovrà suddividere i ricavi delle due attività.

Partita Iva: quale regime fiscale conviene scegliere

Prima o poi il momento arriva: occorre aprire la partita Iva. E la domanda che subito ci si pone è: quale regime scegliere? Ordinario o forfettario? Ovviamente non c’è una risposta che vada bene per tutti. Ci sono, invece, regimi fiscali diversi per andare incontro a differenti volumi d’affari, con una gestione più semplice per ditte individuali o liberi professionisti all’inizio della loro attività. La scelta andrebbe fatta chiedendo a un commercialista preparato quale possa essere la soluzione più adatta rispetto all’attività che si vuole svolgere. Bisognerà individuare non solo il regime fiscale, ma anche il codice Ateco e la cassa di previdenza di riferimento.

Quando la ritenuta d’acconto non basta più

Prima di aprire la Partita Iva, si può svolgere l’attività di lavoro autonomo, utilizzando la prestazione occasionale. Ci sono, però, dei limiti da rispettare: l’attività deve appunto avere requisiti di occasionalità e non continuità; non può riguardare un’attività che già viene svolta in modo professionale; non ci deve essere alcun legame di subordinazione con il committente che ha commissionato il lavoro; e non può essere un ecommerce, perché in questo caso serve aprire sin da subito la Partita Iva.

La scelta del codice Ateco

Ancora prima di definire il regime fiscale, è bene individuare il proprio codice Ateco. Si tratta di un codice che viene usato per classificare le diverse attività che possono essere svolte in forma autonoma. L’architetto, l’avvocato, il grafico: ogni professione e attività ha un proprio codice Ateco che è importante indicare nella domanda di apertura della Partita Iva. È fondamentale perché, soprattutto con il regime forfettario, sulla base del coefficiente di redditività associato si definisce la percentuale su cui calcolare le tasse da pagare. Sempre il codice Ateco servirà anche per determinare la cassa previdenziale alla quale versare i contributi. Nel caso di un professionista iscritto a un ordine, sarà la cassa privata di riferimento, diversamente sarà la gestione dell’Inps.

Scegliere la cassa previdenziale

Chi apre la Partita Iva, oltre alle tasse – che variano in base al regime fiscale scelto – dovrà anche versare i contributi previdenziali. Ci sono professionisti, iscritti a un ordine professionale, che sono obbligati a versare i contributi previdenziali alle loro casse di riferimento. Per esempio, psicologi, avvocati, giornalisti. Ogni cassa privata ha le sue regole per i versamenti. I professionisti che non hanno una cassa dedicata dovranno versare i contributi alla gestione separata Inps, con una percentuale che viene applicata al guadagno. I commercianti e gli artigiani, in generale i lavoratori autonomi, dovranno versare i contributi alle relative casse gestite dall’Inps ma, in questo caso, sono previsti anche dei contributi minimi da versare, indipendentemente dal fatturato.

 

Quale regime fiscale scegliere?

Il prossimo passo per chi ha deciso di aprire la Partita Iva è quello di individuare il regime fiscale più adatto, tra quello ordinario e forfettario. La scelta dipende prima di tutto dal volume d’affari. Il regime forfettario può sfruttare una tassazione particolarmente conveniente (5% o 15%) ma non può essere scelto per attività che hanno incassi di ricavi e compensi superiori a 65mila euro all’anno. In questo caso bisognerà optare per il regime ordinario che, a sua volta, prevede il regime ordinario semplificato.

Il regime ordinario

La scelta del regime fiscale ordinario è l’unica consentita per società di capitali e per le società di persone e ditte individuali che, nell’anno precedente, hanno conseguito ricavi superiori a 400mila euro per le attività di prestazione di servizi; 700mila euro negli altri casi. La tassazione del regime ordinario fa riferimento alle aliquote Iperf quando ad applicarlo è una persona fisica socia di società di persone o di capitali in regime di trasparenza o una ditta individuale. È possibile “scaricare” le spese sostenute che vanno quindi scalate dall’imponibile per intero oppure con una percentuale che dipende dal tipo di spesa.

 

Il regime semplificato

Le società di persone e le ditte individuali che, nel corso dell’anno solare, hanno prodotto ricavi inferiori a 400mila euro per le prestazioni di servizi e 700mila euro per tutte le altre attività possono scegliere il regime semplificato che, a differenza di quello ordinario, implica una burocrazia più leggera. Per i liberi professionisti non è presente alcun limite di ricavi per la scelta del regime semplificato. La tassazione, in base alle aliquote Irpef, è la stessa del regime ordinario. I contribuenti che hanno scelto il regime ordinario o semplificato devono rispettare diversi adempimenti nel corso dell’anno. Nella contabilità ordinaria: registri Iva, libro giornale, registro dei beni ammortizzabili, libro inventari e libro soci. In quella semplificata solo registri Iva e registro degli incassi e dei pagamenti.

Come gestire la contabilità

La dichiarazione dei redditi si presenta una volta all’anno, la dichiarazione delle liquidazioni periodiche Iva ogni tre mesi. C’è l’obbligo della fatturazione elettronica. Un’altra differenza tra il regime ordinario e quello semplificato riguarda la modalità di determinazione del reddito: nella contabilità ordinaria avviene mediante il principio di competenza (costi e ricavi devono essere contabilizzati nel momento in vengono maturati), mentre nella contabilità semplificata la determinazione avviene mediante il principio di cassa. Vuol dire che costi e ricavi vengono registrati in contabilità nel momento in cui si pagano o incassano.

Il regime forfettario

Per i professionisti che hanno avviato da poco la propria attività, la scelta del regime forfettario è quella più conveniente. Abbiamo spiegato in questo articolo quali sono le caratteristiche e chi può sceglierlo. In sintesi, con il regime forfettario si paga un’imposta sostitutiva con aliquota al 15% o al 5%, in caso di nuove attività per i primi cinque anni. L’imposta non si applica sul totale delle fatture incassate, ma sull’imponibile fiscale che si ricava con il coefficiente di redditività. Per esempio, un architetto (codice Ateco 71.11.00) ha un coefficiente di redditività al 78%. Quindi, se incassa in un anno 35mila euro, l’imponibile fiscale sarà di 27.300 euro (35mila x 78%), a cui andrà poi sottratta la somma da destinare alla previdenza, prima di moltiplicare per l’aliquota da versare del 15%. I forfettari non versano l’Iva, nessun obbligo di registrazione delle fatture e delle note spesa, esonero da studi di settore ed esterometro e nessuna applicazione di ritenute alla fonte. La fattura elettronica non è obbligatoria, ma lo sarà in futuro.